Non conosco ancora Gianni Asdrubali e Lo spazio impossibile m’incuriosisce.
L’allestimento, curato dal critico d’arte Marco Tonelli con il sostegno delle gallerie Matteo Lampertico e Santo Ficara, è presentato nel Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese, dove sarà fino al 10 giugno 2018.
È a due passi da me, così all’apertura decido di andarci in compagnia di una preziosa amica.
Ogni opera di Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955) mi appare con la potenza dell’autonomia dell’arte che basta a se stessa, ma può reinventarsi, senza fatica, in un dittico, in un trittico o in un lungo racconto dell’equilibrio. L’opera ha già dentro di sé il suo spazio e il site specific è una bugia.
Il segno è potente, energico, quasi violento e dà vita ad una rete sconfinata che con la sua maglia cattura la mente in pensieri indefiniti.
Anche la sostanza cromatica si fa squillante mentre si ferma in un’armonia di contrasti, di pieni e di vuoti, nella smaterializzazione di qualsiasi supporto.
L’affermazione e la negazione del pensiero combattono tutto il tempo e si accaniscono nel binomio assoluto bianco-nero. Otre l’io, oltre lo spazio, oltre il tempo, quando l’arte è senza lacci, fuori da contesti e pretesti.
Incontro l’artista e, dinanzi ad un suo lavoro, scambiamo qualche battuta.
-Sei Interessato al vuoto?
-Sì. Tutto nasce dal vuoto. Il vuoto si riempie di energia e diventa materia.
-Una materia potente determinata dalla forza del gesto. Ti ho visto all’opera in un video girato nella galleria di Matteo Lampertico: un vortice creativo velocissimo.
– Quanto impieghi per realizzare un’opera?
-Almeno quarant’anni!
Ogni volta che faccio questa domanda, gli artisti si piccano. Ma io so bene che l’arte è stare fuori da ogni predicazione avendo in testa l’unico pensiero che buca il tempo.
Grazie, Gianni Asdrubali.