Inseguo da qualche tempo sul web pensieri e informazioni sui depositi dei Musei italiani. Studio, per una mia ultima ed importante ricerca, quello che considero un tesoretto nascosto, un patrimonio talvolta scomodo, più spesso prezioso, che per diversi motivi si è costretti a non esporre.
L’argomento è spinoso perché numerose sono le questioni aperte. L’organizzazione dei depositi è un problema serio perché manca, il più delle volte, una visione integrata del numero, della qualità e dello stato di conservazione dei beni.
Penso che sia giunto il tempo di rifletterci su con serietà, puntando a riformulare le priorità e le strategie di intervento da adottare, con principi, metodologie e modelli condivisi secondo una programmazione a breve e a lungo termine su scala nazionale.
La vita dei Musei brulica di entità viventi che vanno accudite, tutelate, selezionate, rese visibili, fruite e studiate.
Percorrendo questa via, ho incontrato Marco Lanza e le sue fotografie.
“Depositi” si chiama il suo progetto di riportare alla luce l’arte che non si vede, nato in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze nel 2006, quando, in occasione del 40° anniversario dell’alluvione del 1966, fu deciso di proiettare sulla facciata del Palazzo della Crocetta le immagini che testimoniassero lo stato dei fatti.
Il programma è itinerante e le diverse esposizioni in giro per l’Italia (attualmente fino al 21 luglio nel chiostro del convento di Santo Spirito a Firenze) raccontano i fatti senza alcuna voglia di fare polemica. Marco Lanza mi ha spiegato che la sua non è una denuncia ma una storia che andava raccontata perché c’è tanta bellezza anche là.
È un viaggio segreto nell’oltremondo, nello spazio negato dell’arte dove le opere, i reperti, i prodotti del fare umano in esso riparati si consegnano alla vita rimettendosi in gioco.
Molto è sciupato, volgarizzato dalla scure del tempo e dell’incuria.
Qualcosa è importante, bandito dalla volontà delle decisioni miopi di altri: per fortuna, ogni tanto sbuca fuori un capolavoro.
Tanto è poco rilevante: epigoni e continuatori che nulla hanno cambiato con la loro assenza.
Ma la storia delle collezioni è la nostra storia e ci rappresenta con il suo capitale umano, per riattivare un dialogo tra epoche e valori che non fanno salti, educando lo sguardo e gli occhi alla sensibilità e alla percezione delle differenze. Il significato dell’arte è soprattutto questo. Le immagini non si limitano a riprodurre i depositi, bensì li creano attraverso il linguaggio della fotografia e della luce che, incontrando la materia, il corpo e la polvere, genera colore. La fotografia si mette in ascolto e dà voce alle cose, in modo che esse possano narrare la loro vicenda specifica, facendosi tracce di vita.
Anche le opere video – realizzate da Marco Lanza insieme al fratello Saverio, musicista, nella formazione artistica PASTIS – si muovono in tale direzione. L’atmosfera del deposito è, qui, realizzata da un montaggio ritmico e musicale, dove muoversi a passi di danza.
Grazie, Marco Lanza.