
Premetto che alla famosa Chiara vanno tutti i miei complimenti.
Una perfetta sconosciuta che, poco più che ventenne, capisce l’urgenza del momento e cavalca l’onda.
Una volpona che in solo undici anni, da quando cioè nel 2009 è saltata fuori con il suo blog The Blonde Salad, ha fatto soldi a palate, diventando famosa nel mondo (tanto da aver suggerito alla Mattel la Barbie style a lei ispirata), modella per Vogue e per l’edizione americana di Vanity Fair, global ambassador di Pantene, testimonial di Swarovski, Pomellato, Intimissimi e qualcosa avrò certamente dimenticato.
Oggi Chiara Ferragni ha 33 anni e 20,5 milioni di follower su Instagram. Per i tempi che corrono, propriamente una diva.
Un bel giorno di pieno luglio cosa fa? Invece di andarsene al mare su una spiaggia esotica a mostrare le sue fattezze perfette, decide di andare a Firenze, entrare agli Uffizi, uno dei musei più importanti e visitati del mondo, si fa un selfie, scegliendo come set la Nascita di Venere di Sandro Botticelli, e lo posta subito dopo sulla sua pagina Instagram.
Nel fine settimana seguente la percentuale di ingressi di giovani nel museo fiorentino schizza, registrando un incremento del 25% e il direttore Eike Schmidt gongola di gioia.
Apriti cielo! Le critiche cadono giù a secchi e i pareri camminano in disaccordo.
Per alcuni -più democraticamente- l’importante è avvicinare i giovani all’arte, in qualsiasi modo; per altri -in maniera più elitaria- questo è una bestemmia perché senza conoscenza entrare in un museo è perfettamente inutile, quasi blasfemo.
Ci ho riflettuto un po’. La storia, in fondo, non ha nulla di nuovo e i testimonial sono sempre serviti a promuovere. Però qualcosa non funziona.
A mio parere, non si tratta di essere snob, né provare antipatia o esprimere sessismo. È semplicemente il fatto che l’arte, la sua bellezza, la sua storia e i suoi valori, perché rappresentino uno stimolo di crescita per l’uomo, necessitano di tempo. È il tempo che rende utile l’arte, restituendo significato ad un’esperienza del genere. Ben venga mostrare di essere entrati in un museo, può essere un buon esempio (anche se, come ha sottolineato il prof. Tomaso Montanari, si è toppata la prospettiva. Era Botticelli che avrebbe dovuto promuovere Chiara Ferragni e non viceversa. E, dunque, la figura vincente sarebbe stata non il selfie della influencer dinanzi alla Venere di Botticelli ma uno sguardo interessato della stessa sul dipinto). Ma -ahimè- non basta. La lezione della cultura si fa attiva solo con la riflessione ed una giusta fusione tra passato e presente, tra quello cioè che incontriamo per la prima volta e ciò che abbiamo immagazzinato nel tempo dentro di noi. Non è quella sola volta che ci premia, perché non è nell’immediata e furtiva presenza delle cose belle il loro valore. Piuttosto esso si rivela nelle impercettibili e personali corrispondenze tra la forma delle cose e la forma delle idee, nell’infinita varietà di relazioni e affinità elettive che intercorrono tra il visitatore e l’opera d’arte. Stimolare avvicinando è importante ma poi diventa necessario l’approfondimento, riflettendo e favorendo che quell’esperienza diventi felice, attraverso la lentezza del rincontro e della consapevolezza.
E voi davvero pensate che chi sia entrato agli Uffizi, sulla scia della Ferragni, poi ci ritorni?