Michelangelo, 1511 ca.
Cappella Sistina, Musei Vaticani, Roma
Questa è una di quelle immagini assolute, patrimonio universale dell’umanità, che la vai a vedere o non la vai a vedere, l’hai già vista. Del resto, chi non ricorda queste due dita che si sfiorano senza incontrarsi?
Siamo a Roma nella Basilica di San Pietro, nella Cappella Sistina, la cappella che fu di Sisto IV della Rovere, quella del conclave in cui sono eletti ancora oggi i papi. Ci troviamo sotto gli affreschi della volta realizzati da Michelangelo sul finire del primo decennio del ’500 (un trentennio dopo nello stesso luogo, sulla parete dietro l’altare, Michelangelo realizzerà l’altrettanto noto Giudizio Universale).
Al di là di tutte le interpretazioni che si sono ascoltate (una, per esempio, sostiene che Dio e gli angeli si librano dentro un mantello rosso gonfiato di vento che è stato sovrapposto ad una sezione anatomica di un utero post-partum) e al di là della fatica titanica di lavorare da solo a cervice riversa sui ponteggi, come ci racconta lui stesso in uno schizzo dove si disegna al lavoro.
Ciò che leva il fiato è lo stridore immediato tra il silenzio spirituale di questo spazio e il grido umano di questi corpi nudi, vibranti di carne e di muscoli, scolpiti con la pittura.
Il corto circuito è, in verità, troppo spesso spezzato dalla fiumana rumorosa di turisti provenienti da tutto il mondo.
Michelangelo incarna l’uomo moderno, che interagisce con la divinità attraverso l’arte. Un’arte grandissima, che ci rende piccoli di fronte a tanta bellezza, spingendoci, forse, a fare sempre meglio.
La sua libertà irriverente di stravolgere l’iconografia ponendo tanti nudi in posizioni scomode nella cappella del papa sollevò uno scandalo di cui si occupò persino il Concilio di Trento.
Si pensò addirittura di distruggere gli affreschi ma poi, per fortuna, fu ordinato all’amico e allievo Daniele da Volterra, passato ingiustamente alla storia con il nomignolo dispregiativo di “mutandone”, di vestire quei corpi con brache bianche.
Risale al 1994 l’ultimo restauro che ha svelato un colore molto più liquido e trasparente di quanto si pensasse, un azzurro lapislazzuli meraviglioso finalmente liberato dalle colle e dai fumi delle candele dei secoli.