
A Napoli, nel Museo di Capodimonte, c’è ancora Gemito, dalla scultura al disegno. Fino al 15 novembre.
Vincenzo Gemito nasce a Napoli nel 1852. Straordinario artista, si avvicina spontaneamente all’arte, prendendo ispirazione dalla realtà povera della città, dai suoi vicoli, dalla scultura presepiale e dai reperti del Museo Archeologico.
Dovette venire al mondo in una famiglia in grande difficoltà economica, tanto da essere abbandonato nella ruota degli esposti dell’Annunziata. Da qui fu poi affidato alle cure di una famiglia molto umile.
Di indole assai turbolenta e ribelle, il giovane Gemito ebbe un’adolescenza assai irrequieta, legandosi solo al coetaneo Antonio Mancini, con cui si avvicinerà alla pittura e alla scultura. L’iniziale formazione artistica avvenne nella bottega di Emanuele Caggiano, scultore di gusto accademico, che conobbe a nove anni mentre faceva da fattorino ad un sarto; passando poco dopo sotto la guida di Stanislao Lista e Domenico Morelli.
Nel 1864 venne ammesso al Regio Istituto di Belle Arti, ma ben presto mollò, preferendo lasciarsi guidare dall’atmosfera palpitante e autentica dei vicoli del centro storico di Napoli.
In questo clima maturò la sua cifra stilistica, potente e autentica, allontanandosi per sempre dagli schemi dell’arte scultorea ufficiale.
Esordì a soli sedici anni con il Giocatore di carte, uno scugnizzo pensoso e impegnato a scrutare la mossa da compiere.

Raccolse intorno a sé un certo gruppo di artisti insofferenti alla codificazione accademica dell’arte scultorea e con loro si rifugiò nei sotterranei del complesso di Sant’Andrea delle Dame, dove stabilì il proprio atelier.
Poco dopo conobbe la dolce Matilde Duffaud, che divenne sua compagna e modella nel nuovo atelier sulla collina del Mojarello, a Capodimonte, per poi ritrasferire il suo studio presso il Museo Archeologico di Napoli, di fronte alle famose statue ritrovate ad Ercolano e Pompei.
Il successo arrivò con il Pescatoriello, un giovanotto in piedi su uno scoglio, impegnato a trattenere al petto dei pesciolini guizzanti appena raccolti dal mare. Le mani sembrano artigli e la potenza emotiva attira le folle.

Raggiunse il successo nel Salon de Paris. Rientrato a Napoli all’inizio del 1880, lavorò per più di un anno sull’Acquaiolo, un giovane venditore di acqua fresca, dalla postura oscillante e chiaramente ispirata al Satiro danzante, rinvenuto a Pompei nella casa del Fauno.
Morta l’amata Matilde di tisi, distrutto dal dolore, si ritirò nella quiete di Capri, dedicandosi soprattutto ai disegni. Poco dopo s’innamorò della modella di Domenico Morelli, Nannina, fino a sposarla.
La fama raggiunta sedusse anche la Corona sabauda, tanto che Umberto I gli commissionò, per il Palazzo Reale di Napoli, una statua effigiante Carlo V d’Asburgo. Fu un disastro. Disorientato dall’insolita tematica storica, realizzò solo il modello in gesso e il bozzetto bronzeo, non riuscendo a tradurla in marmo e cadendo in un grave esaurimento nervoso fino ad essere ricoverato. Fuggito, si isolò nella sua dimora di via Tasso, dove si segregò dal mondo per diciotto anni, mangiando poco, dormendo sul pavimento, alternando episodi di follia a stati profondamente abulici.
Riprese la vita pubblica solo nel 1909, dedicandosi soprattutto ai disegni, prediligendo figure di popolane ritratte nella loro gestualità viva e mostrando l’anima più profonda.
Gemito morì a Napoli nel 1929, lasciandoci nei fogli gli ultimi guizzi di luce, grazie all’uso del pastello e degli acquerelli.

In questa mostra è rivalutata l’ultima produzione dell’artista, sottolineando i suoi stretti rapporti con altri artisti europei di inizio Novecento.
In Gemito si riconosce quella capacità eminentemente classica di rivelare il lato spettrale e occulto di una apparizione, mostrando quello che è e, nel tempo stesso, quello che forse è stato.
Giorgio De Chirico