
Palazzo Zabarella, costruito per volere della famiglia tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, è un simbolo della più illustre storia padovana che, attraverso le diverse rivisitazioni durante i secoli, rappresenta oggi un esempio importante di recupero e valorizzazione artistico-culturale.
I fratelli Giovanbattista e Lepido Zabarella, nel 1672, decidono una razionalizzazione dell’edificio rispetto alle sue nuove funzioni, facendo progettare una struttura principale articolata su due corpi.
Nel 1802 il conte Giacomo Zabarella, in occasione del proprio matrimonio, predispone un rinnovamento degli spazi del Palazzo. L’incarico viene affidato all’architetto Daniele Danieletti, il quale fonde le strutture preesistenti alle armonie del coevo gusto neoclassico, come testimoniano l’atrio colonnato, il vestibolo e lo scalone. Tra il 1818 e il 1819 vengono commissionati gli affreschi delle sale a tre pittori celebri: Giuseppe Borsato (1770-1849), Giovanni Carlo Bevilacqua (1775-1849) e Francesco Hayez (1791-1882).
Nel 1846, alla morte del conte, la famiglia Zabarella si estingue.
Nel 1920 il Credito Veneto acquisisce il Palazzo per farne la propria sede, successivamente ampliata.
Nel 1949 il Palazzo diventa sede della Società del Casino Pedrocchi, subendo significativi interventi di modifica.
Negli anni Ottanta Palazzo Zabarella viene acquisito dall’imprenditore padovano Federico Bano, che vuole renderlo un centro culturale polivalente. Così, nel 1988 si avvia la complessa opera di recupero e restauro.
Vengono anche avviati importanti scavi archeologici che interessano l’area della corte interna, da cui riemergono, fra i molti reperti, i quattro magnifici mosaici di epoca romana ora ospitati in una sala dell’edificio.

Nel 1996 Palazzo Zabarella è completamente restaurato e restituito alla città, per divenire un luogo storico importante di esposizione e propagazione di cultura e di arte.
Dal 24 ottobre 2020, se non ci saranno ulteriori scongiurate chiusure, ospiterà la mostra I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge, con oltre cento capolavori a testimoniare l’esperienza densa dei Macchiaioli. Artisti dallo spirito indipendente e rivoluzionario, pieni di passione, che rompendo i rigidi formalismi accademici seppero rappresentare il vero ponendo la natura e l’uomo di nuovo al centro; maestri come Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Giovanni Boldini, Telemaco Signorini, e altri meno noti, ma non meno significativi, come Adriano Cecioni, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca.

La mostra è curata da Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, che hanno inseguito anche le strade non battute del collezionismo privato.

Per approfondire:
Giotto e la cappella degli Scrovegni