Oltre al Gattamelata di Donatello, alla suggestiva basilica di S. Antonio, ai calici di bollicine e alla piazza più grande d’Europa, c’è un motivo che ci spinge a Padova che viene prima di tutti: la cappella degli Scrovegni di Giotto.
La biglietteria è situata all’ingresso dei Musei Civici in Piazza Eremitani.
Arrivata nel pomeriggio, temevo di non farcela ad entrare in giornata e, invece, fortunatissima, sono riuscita a prenotare per due ore dopo.
Ricordate che prenotare è indispensabile perché il percorso è cronometrato!
All’interno di uno spazio dove ancora si scorgono i resti di un’antica arena romana, Enrico Scrovegni, ricchissimo personaggio padovano, che Dante porrà all’Inferno tra gli usurai, provvide agli inizi del Trecento ad edificare un sontuoso palazzo, con una cappella che fungesse da oratorio privato e futuro mausoleo familiare, commissionandone a Giotto gli affreschi.
Nel testamento ebbe poi cura di indicare che la cappella dovesse essere preservata per l’onore di Dio e del Comune di Padova e di Venezia e che non potesse essere venduta. Invece, estinto il ramo degli Scrovegni, la cappella divenne di proprietà dei nobili Gradenigo, che noncuranti di cotanta bellezza arrivarono ad abbattere nel 1827 il palazzo. Pare che fossero arrivati sul punto di far strappare pure gli affreschi per venderli al Victoria and Albert Museum, quando furono fermati dalla tenacia e dal senso civico del Comune e dei cittadini.
Oggi, dopo un attento restauro, per tutelare la delicatezza del luogo dal gigantesco flusso di visitatori, il passaggio in cappella è calcolato alla perfezione e tutto si svolge entro una mezz’ora perfetta: l’accesso è numerato e ciascun ospite, munito di biglietto, deve presentarsi all’ingresso del Corpo Tecnologico Attrezzato di Accesso almeno 5 minuti prima dell’orario di visita indicatogli, perché in caso di ritardo non potrà più entrare.
Il primo step è una sosta di 15 minuti nella sala di compensazione: è un tempo necessario per la stabilizzazione del microclima interno ma non vi peserà perché, comodamente seduti, guarderete un dettagliato video illustrativo. Occhio, però, alle zanzare!
Durante gli altri 15 minuti, la cappella sarà finalmente sotto i vostri occhi.
Vi muoverete sotto un cielo di lapislazzuli pieno di stelle, che due angeli stanno srotolando come un tappeto, mentre gli affreschi vi abbaglieranno con la loro potente bellezza.
I temi sviluppati dall’artista sono tre: gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), gli episodi della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo.
In basso a questi, una serie di riquadri illustra le allegorie dei Vizi e delle Virtù.
La forma asimmetrica della cappella, con sei finestre solo su un lato, fu determinante per le scelte della decorazione: i due riquadri, posti negli spazi tra le finestre, vengono simmetricamente ripetuti anche sulla parete di fronte. È un lavoro emozionante, pieno di poesia, e qui Giotto supera se stesso. Rispetto alle precedenti Storie di S. Francesco ad Assisi, non c’è più nessuna incertezza, le pennellate sono più morbide, dense e sicure ed i corpi fatti di carne occupano uno spazio vero, anche quando risultano ritratti realisticamente di spalle. E poi è un luogo pieno di mistero, con gli elementi astrologici e allegorici criptati che rappresentano un unicum.
Con Giotto nasceva la pittura italiana negli stessi anni in cui Dante ne inventava la lingua.
I due maestri, probabilmente, si conobbero.
Accadde una volta che mentre Giotto, ancora abbastanza giovane, dipingeva a Padova una cappella nel luogo dove un tempo c’era l’anfiteatro, o arena, giunse anche Dante da quelle parti e Giotto lo accolse con grandi onori e lo ospitò a casa sua. Qui Dante, vedendo che i suoi molti bambini erano davvero brutti e, per dirla in breve, somigliantissimi al padre, gli chiese: «Egregio maestro, mi domando stupito perché voi, che non avete uguali nell’arte del dipingere, facciate tanto belle le figure degli altri e così brutte, invece, le vostre». Al che Giotto, ridendo, rispose prontamente: «Perché dipingo di giorno, ma plasmo di notte».
(Benvenuto da Imola)