
È evidente a tutti. La scuola è in crisi ed ancora di più lo sono i ragazzi.
Ancora tutti in piena pandemia, continuiamo a litigare tra chi la vuole in presenza e chi integralmente in DAD.
Per me, che la scuola sia nuovamente in presenza è una buona notizia.
Certo, è difficilissimo. Tantissime sono le classi a metà, le voci si perdono nell’etere, gli occhi sono stanchi, gli occhiali appannati e i contenuti risultano da ripetere continuamente ai vari gruppi che si alternano.
Sulla pelle di tutti si comincia a schiudere una sottile ferita, creata dalle necessarie regole di distanziamento e mascherine, e può anche darsi che lascerà il segno.
In certi luoghi, poi, ho il sospetto che si sia addirittura aperta una voragine dalla quale si combatterà per uscire.
Ieri ero in classe con un solo alunno davanti e quattro collegati da casa. Si fa fatica a trovare il senso ma riusciamo a farci piacere anche questo, ritrovando nel numero più ristretto risvolti più intimi e privati, che nel confronto con tutti si perderebbero.
In materia scolastica stiamo perdendo tutti perchè la questione parte da lontano ed è molto più complessa di quello che si vede. Perché in gioco non è solo la conoscenza degli argomenti svolti oppure il riordino di tempi e regole scandite, che sono innegabilmente necessarie perché la vita scolastica funzioni al meglio o anche quel principio sociale, importantissimo, di partecipazione e condivisione che la scuola rende spontaneamente ai nostri ragazzi come palestra di vita e scala sociale.
Alla scuola va di nuovo e con urgenza riconosciuto il suo valore insostituibile, che le è stato sottratto negli ultimi trent’anni. La scuola ha bisogno di attenzione, di cura, di tempo perchè si sta impoverendo dentro un processo di semplificazione inarrestabile e di banalizzazione pericolosa. Ad essere a rischio è il nostro futuro, la società che stiamo costruendo e quel carattere precipuamente umano fatto di memoria e di cultura che ci distingue dagli altri esseri viventi rendendoci poeti, architetti, scienziati, musicisti, scenografi, impiegati responsabili, amministratori consapevoli, bravi medici o ottimi docenti.
Ciclicamente le cose nuove e più giuste nascono dalle crisi. E, per questo, sono convinta che abbiamo una grande responsabilità. Tagliamo i rami secchi e tutto quello che non ci piace per rimetterci in corsa ed in gioco subito. Impariamo a lasciare fuori dalle aule opportunismi e furbizie per provare a rinnamorarci della scuola, riappassionandoci alla sua voce autorevole e riannodando il filo della storia che è stato spezzato. Riportiamo nelle aule il rispetto, il dolore, la gioia, l’amore, l’arte, la fatica, l’amicizia, il teatro, la letteratura. Per realizzare tutti noi, docenti e discenti, una scuola nuova, più sana, meno smemorata, che si ricordi di attualizzare ogni sapere acquisito sulla propria realtà politica, culturale e morale. Per costruire un posto tutto nostro dove potersi guardare dentro e prepararsi alla vita che verrà.
Altrimenti sarà sempre più difficile moderare ignoranza, problemi psicologici, impoverimento culturale e morale, estremismi ideologici.