“Una nube nera e terribile, squarciata da guizzi serpeggianti di fuoco, si apriva in vasti bagliori di incendio: erano essi simili a folgori, ma ancora più estesi …. Dopo non molto quella nube si abbassò verso terra e coprì il mare… Cadeva già della cenere, ma ancora non fitta. … Scese la notte, non come quando non v’è luna o il cielo è nuvoloso, ma come quando ci si trova in un locale chiuso a lumi spenti. Udivi i gemiti delle donne, i gridi dei fanciulli, il clamore degli uomini: gli uni cercavano a gran voce i genitori, altri i figli, altri i consorti, li riconoscevan dalle voci; chi commiserava la propria sorte, chi quella dei propri cari: ve n’erano che per timore della morte invocavano la morte…”
(Plinio a Tacito)
Gli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano, iniziati nel XVIII secolo dopo un primo ritrovamento casuale, sono due luoghi che impressionano, unici al mondo (insieme a quelli meno vasti di Stabia, Oplonti e Boscoreale) nella loro straordinaria testimonianza umana e storico-artistica.
Famosi e ricordati su scala planetaria e da tempo al centro di dibattiti sull’inefficienza italiana verso il recupero e la tutela dell’arte, sono testimonianze ineguagliabili, capaci di restituire la vita così com’era in quel lontanissimo 79 d. C. quando lo “sterminator Vesevo” decise di coprire ogni cosa.
Li ho visti tante volte, ma quando ritorno nei miei occhi c’è sempre meraviglia e il cuore batte più forte.
Toccante è stato trovare immerse tra le rovine di Pompei, come giganti mutili e feriti, le enormi statue bronzee del polacco Igor Mitoraj: il più perfetto e suggestivo appuntamento che io ricordi tra archeologia e arte contemporanea. Un pensiero intimamente poetico per rievocare la fragilità, un sentimento forte che ci impone di recuperare il passato con gli occhi di questo tempo.
Seguite i percorsi e guardate, guardate tra la folla ogni cosa, nel sonoro multilingue. Con un po’ d’immaginazione potreste incontrarli quegli antichi uomini: al lavoro nelle botteghe, a bagno nelle terme, vigorosi nelle palestre, vivi e felici nei teatri, nei grandiosi fori e nelle ville affrescate.
L’emozione cresce mentre si entra nelle case. A Ercolano specialmente, dove (a causa dei materiali eruttivi trasportati dall’acqua e diventati una coltre di roccia durissima) i decori, gli arredi, le travi lignee e persino i secondi piani si sono ben conservati.
Ma pure a Pompei nelle spettacolari Villa dei misteri, casa del Menandro e casa dei Vettii. E da pochi mesi, rispettando un principio di rotazione, anche in altre cinque domus appena restaurate. Sognerete ad occhi aperti, di fronte agli scenografici affreschi della casa della Venere in conchiglia, che vi aspetta mollemente adagiata sulla parete di fondo del grande peristilio.
E alla fine vi si stringerà il cuore a vederli stretti stretti negli scheletri in un unico abbraccio di morte, a Ercolano, o raccolti nei candidi calchi di gesso (la genialata dell’archeologo Giuseppe Fiorelli) a Pompei, mentre sono ancora lì a pregare un Dio sordo, rivelandoci come un sortilegio quei terribili ultimi momenti di vita.
Noi di fronte agli antichi e alla loro vita interrotta di colpo. Due tappe che ci arricchiscono nel profondo, attraverso un’esperienza che ha il potere di rilasciare quella necessaria dose di consapevolezza umana e storica che può aiutarci a compensare la pervasività della tecnologia.
Dal 3 dicembre, a Pompei, sarà inaugurato un percorso facilitato lungo tre chilometri e mezzo, che consentirà anche a persone con difficoltà motorie (compreso mamme e papà con passeggini) di visitare l’area archeologica dall’ingresso di Porta Marina fino a piazza Anfiteatro, entrando in una decina di abitazioni. Dovete solo mettervi in viaggio!