
Ho sempre pensato che l’arte fosse un modo di essere. Può abbracciare ogni scelta e preferenza della tua vita, diventando un modus vivendi.
Alcune volte si riesce ad essere se stessi in modo naturale, con semplicità, senza freni o condizionamenti. Altre volte, invece, la vita ti pone davanti ad altri obblighi e necessità, impedendoti di seguire la strada che istintivamente percorreresti.
Ma poi, come si dice, il tempo è galantuomo e chi ha la fortuna di resistere può farcela.
Nel territorio di Barolo, sulla collina dei Cannubi, dove i vigneti più preziosi delle Langhe si allungano verso il centro del paese, sorge L’Astemia Pentita, la prima cantina vitivinicola pop.

L’imprenditrice che l’ha inventata e fermamente voluta si chiama Sandra Vezza, una donna appassionata d’arte e di design, ma costretta per anni dall’urgenza della vita ad occuparsi di altro.
Finalmente, poi, dopo aver rilevato nel 2014 Gufram, l’azienda giocosa e tutta italiana di design nata a Caselle Torinese nel 1966, con talento e caparbietà riesce a realizzare il suo grande sogno, portando l’arte tra i vigneti delle sue Langhe, il luogo dove è nata, dove passeggiava col nonno e dove ancora vive, dentro quel paesaggio unico che cambia colore a ogni stagione.
Così, dopo aver acquistato da una coppia di fratelli novantenni i terreni, fonda L’Astemia pentita, con un chiaro riferimento al suo passato lontano dal vino, certamente con l’intento di rimarcare che finché c’è vita c’è speranza, sogno e possibilità di cambiamento.
In questo luogo originale tutto è passione e genius loci, tra tradizione e coraggiosa audacia, nel segno dell’arte e del buon vino.

Ovunque c’è un’esplicita preferenza per quei materiali che si legano alla produzione vinicola; i pavimenti evocano la natura mentre le pareti e i soffitti, con grandi dipinti murali, richiamano all’estetica pop e surrealistica.

Non mancano iconici pezzi di Gufram, come il divano Bocca, il Cactus, ma anche progetti più recenti come la poltrona Roxanne.

Era intorno il sentore di queste colline più profondo dell’ombra, e d’un tratto, suonò come uscisse da queste colline una voce più netta e aspra insieme, una voce di tempi perduti.
(Cesare Pavese)