Con le riaperture museali del 18 maggio e le nuove modalità previste di distanziamento sociale, sembrano riaprirsi vecchie questioni sulla prospettiva e la funzionalità dei musei.
Da un lato, ci sono coloro che pensano che il museo sia un luogo di tutti e per tutti, da condividere sempre, con folle disordinate di turisti, cittadini curiosi e scolaresche strepitanti e inconsapevoli. Quasi come un’arena disarmata dove poter confrontare e ricomporre differenze culturali e sociali.
Dall’altro lato, invece, compaiono quelli che pensano al museo come a un luogo “sacro” ed elitario, da vivere nel silenzio e nel rispetto, ritenendolo l’unico modo o quello più semplice per farlo diventare un’opportunità intellettuale e spirituale.
Se il museo è un’istituzione al servizio della società e del suo sviluppo e l’arte un bene collettivo, promosso e tutelato dallo Stato -come previsto dall’articolo 9 della Costituzione- la discussione è quanto mai aperta.
Il museo resta una dimensione complessa, dove convivono passato, presente e futuro nei suoi valori e nelle sue ragioni: i tempi e i luoghi in cui sono nate le opere d’arte; i tempi e i luoghi che le accoglieranno domani nei futuri allestimenti; il tempo e lo spazio di oggi e di noi tutti, in cui ciascuno a suo modo sente il desiderio di entrare interagendo con esso.
Quali sono i motivi che inducono le persone ad andare nei musei? Quanto recepiscono dalla visita e rispetto a quale emozione si sentono maggiormente appagati?
Cosa ne pensate?
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