
Un giorno sono andata via. Ho chiuso la porta blindata di casa lasciando ogni cosa dov’era. Napoli, da lontano, mi è parsa immediatamente più buona. E quel Vesuvio piantato da solo tra le ortensie del mio terrazzo è sembrato d’un tratto meno minaccioso di prima.
Lasciare il posto dove hai sempre vissuto è un po’ morire, ma è anche ricominciare a vivere con occhi diversi. Così, quando ritorno a casa, me ne vado in giro a cercare le cose che ho voglia di rivedere, insieme a quelle che non ho mai visto.
Napoli è prima di tutto un pezzo di mare. Mi è sempre piaciuto, abitando in collina, cercarlo dall’alto tra le case e vederlo sminuzzato dalla luce. Quest’esperimento viene benissimo se, in una giornata limpida di sole, scendete su via Aniello Falcone da via Kagoshima.
Però è di notte che Napoli diventa mozzafiato.

La città è un cilindro del mago. Come la racconto a parole?
Gli itinerari da consigliare sono tanti e, per avere un’idea almeno approssimativa della sua fisionomia, sono necessari almeno quattro giorni.
Io suggerisco, appena arrivati, di lasciarsi immergere nei suoi ritmi cominciando un percorso un po’ scombinato senza precise coordinate storico-cronologiche (la pianta della metro vi darà poi in breve tempo la possibilità di ritrovarvi e riprendere l’orientamento), affidandosi gioiosamente e con un po’ d’attenzione alla sua anarchia perché Napoli è davvero il tempio dell’ossimoro ed il semaforo rosso è certe volte solo un consiglio.
Caotica, scostumata, irriverente, sciupata, ma dannatamente bella e sentimentale: dopo un primo e veloce assaggio, puntate su “Spaccanapoli” (il decumano inferiore che spacca la città antica) e cominciate a gustarvela da lì, apprezzando le sue differenziate forme così come vengono dinanzi agli occhi. Spingetevi nei vicoli stretti tra i palazzi alti, dove il mondo sembra appartenere alle donne, e respirate il profumo di bucato appena steso che si agita nel vento (stendere i panni a Napoli è un rito) mentre si mescola all’odore di aglio rosolato nell’olio (qui friggiamo tutto!).

Entrate nelle chiese e rispettatene il dogma, scottatevi le mani con le pizzette “inzevate” appena sfornate ad ogni angolo e poi leccatevi pure le dita dopo aver mozzicato la testa di un babà. Cercate via Duomo e andate a salutare San Gennaro, il patrono di Napoli, che vi aspetta nella omonima cappella della cattedrale di Santa Maria Assunta.

La reale cappella del Tesoro di San Gennaro è un capolavoro del ’600 che appartiene alla città di Napoli, traboccante di spettacolari dipinti ed affreschi e piena di sculture di bronzo e d’argento su cui la luce s’infrange liberando un sentimento forte di tradizione che riempie ogni pezzetto di quel posto. Dietro l’altare, all’interno di una teca, sono custodite le due ampolle con il sangue del Santo. Tre volte all’anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre ed il 16 dicembre) i fedeli accorrono ad assistere alla cerimonia della liquefazione. Se il sangue non si scioglie per i napoletani è segno di “cattiva ciorta”. Se avrete la coincidenza di capitare in quei giorni non perdetevi questo evento sacro e profano insieme, cui partecipano sempre tutte le autorità cittadine per una sorta di soggezione a una potenza superiore che non si può eludere.
Molto interessante sarà respirare, all’interno del Duomo stesso (di cui costituisce la terza cappella della navata sinistra), l’atmosfera più sobria della Basilica paleocristiana di Santa Restituta, la cui fondazione è attribuita all’imperatore Costantino nel IV secolo.

Il secondo giorno è un’immersione nel centro storico. Raggiungete Piazza del Gesù e cominciate da lì: toccherete il cielo seguendo la punta della maestosa guglia dell’Immacolata, uno dei tre grandi obelischi di Napoli (gli altri due sono quelli di San Gennaro e San Domenico). Dedicate almeno dieci minuti al Gesù Nuovo e poi a Santa Chiara, con i monumenti funerari medioevali appena restaurati. Poi spingetevi pure sul retro a visitare il coloratissimo chiostro di maiolica del Settecento. Percorrete San Biagio dei Librai ed entrate in San Domenico Maggiore. Da ora, preparatevi alla fila per visitare la cappella Sansevero dove vi comparirà davanti una scultura che respira. Qui verserete un obolo ma il Cristo velato, insieme alla Pudicizia e al Disinganno, vi emozioneranno.
Se i morsi della fame non vi hanno ancora stretto (so che è difficile resistere con tutto quel ben di Dio che vi troverete davanti), procedete verso piazzetta Nilo, svoltate a sinistra e ritornate su via San Biagio dei Librai, deviate nuovamente a sinistra e cominciate a salire la stradina di San Gregorio Armeno: il regno della fantasia e del talento dell’artigianato locale.

Vi sembrerà di stare in un villaggio affollato di avatar dove, dodici mesi all’anno, incontrerete insieme la Madonna e Renzi, Salvini e Berlusconi, San Giuseppe e Obama, Gesù bambino e Maradona tra fiori di carta, calamite pizzettate, palle di Natale, maschere, tamburelli, tombole, bandiere, ventagli, corni, Pulcinella, presepi, pastori e libri antichi.
“Trovo nel popolo napoletano la più geniale e vivace industria, non per diventare ricchi, ma per vivere senza occupazioni.”
(Johann Wolfgang Goethe)
Vi assicuro che non avete mai visto prima nulla di simile!
Lungo la strada, non lasciatevi sfuggire la chiesa omonima. Alla sommità della via, in Piazza San Gaetano, entrate in San Lorenzo Maggiore. Godetevi il meraviglioso abside, unico esempio in Italia di gotico francese con deambulatorio a volte a crociera, che la avvolge in una luce commovente ed emozionatevi al pensiero che proprio lì, il sabato santo del 1334, Boccaccio s’innamorò di Fiammetta dopo averla vista. Accanto vi è il convento (dove soggiornò nel 1343 Francesco Petrarca), in cui ha sede il Museo dell’opera di San Lorenzo con gli scavi archeologici omonimi greco-romani databili intorno alla seconda metà del I secolo, poiché nella piazza sorgeva l’agorà greca e poi il foro romano.

Il terzo giorno dedicatelo alla visita di due musei imperdibili. Cominciate dal Museo archeologico nazionale, lo raggiungerete con la metro facilmente dovunque voi siate, scendendo alla fermata Museo. Qui potrete visionare la collezione Farnese ereditata da Carlo III di Borbone e i preziosi reperti provenienti dagli scavi archeologici nei siti della Campania e dell’Italia meridionale, oltre che ammirare la stupefacente collezione egizia (seconda solo a quella di Torino). All’uscita potrete poi prendere una navetta o un autobus per recarvi direttamente al Museo di Capodimonte. Vi consiglio vivamente di andarci.

Oltre all’infinito bosco, ben 134 ettari di prati, piante secolari, statue marmoree e corpi di fabbrica tutti da scoprire, qui potrete ammirare gli appartamenti reali e diverse collezioni tra le più ricche ed importanti del mondo con dipinti, sculture, arazzi, armi, porcellane e oggetti unici e curiosi di differenti epoche.
Il quarto giorno cambiate aria e visitate il quartiere Vomero. Potrete raggiungerlo sempre con la metro, scendendo alla fermata Vanvitelli. Usciti nella grande piazza, avviatevi verso l’alto e camminando lungo viali alberati, in soli quindici minuti, vi troverete nel posto panoramico più amato dai napoletani, dove vedrete fare capolino Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino.

Il primo è un castello medievale in tufo giallo, dalla cui posizione ed altezza si può raccogliere in un colpo d’occhio tutta la città. Esplorarlo è un’esperienza nel tempo che consiglio, eventualmente insieme alla visita al Museo Napoli Novecento (allocato in alcune sale), che vi consentirà uno sguardo sulla pittura napoletana del XX secolo.

La certosa è, invece, uno degli edifici religiosi più grandi e spettacolari di Napoli. Inaugurata nel ’300 e rimaneggiata nel corso dei secoli, è una vetrina di meraviglie architettoniche, pittoriche e scultoree. Al suo interno, in alcune delle sale simbolo della bellezza del luogo, è ospitato il Museo nazionale di San Martino, che si propone di raccontare al visitatore gli eventi e le testimonianze più rappresentative di una parte della sua storia. La sezione presepiale è, per la sua unicità, il fiore all’occhiello.
Nel chiostro grande dei certosini c’è un luogo incantato ed immobile, capace di ricondurre all’istante al peso netto dei valori essenziali: è il cimitero del priore, con la solenne e disperata bellezza dei teschi di Cosimo Fanzago.

Muoversi in metro a Napoli è un’esperienza imperdibile con le sue stazioni dell’arte.
Stupefacente la stazione di Toledo, ispirata al mare e premiata come una delle più belle al mondo.
Scoprirete che Napoli è tanto altro. Bisogna ritornare.
Per premiare il palato, sappiate che la tavola a Napoli è sempre imbandita. Ci sono infinite taverne e ristoranti che, oltre alla pizza, vi proporranno con orari molto elastici numerosi piatti tipici della cucina partenopea. Meravigliosi gli ziti alla genovese, il sartù di riso alla napoletana, la parmigiana di melanzane, i peperoni “mbuttunati”, e tanto pesce che a Napoli sanno pescare e cucinare bene. A Marechiaro, ci sono i miei preferiti affacciati sul mare.
Squisiti i dolci che sono tanti e tutti differenziati: le sfogliatelle (ricce e frolle), la caprese, le zeppole di San Giuseppe, il babà, la pastiera, gli struffoli e i roccocò. Di ultissima generazione, i soffici e delicati fiocchi di neve di Poppella.

“Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo”.
(Stendhal)