Un delirio contagioso di onnipotenza umana ed una vita sempre più medicalizzata hanno sospeso, se non disperso, il senso della morte.
Un concetto spaventoso ed arcaico, ma necessario.
Su questa linea, l’eutanasia va intesa come libertà. La libertà di esercitare un diritto e di articolare un pensiero: il diritto di porre fine ad un dolore divenuto infinito e insopportabile ed il pensiero consapevole di non considerare più, a un certo punto, doverosa la propria vita.
Di fronte all’eutanasia, secondo me, è opportuno porsi con rispetto, perché la morte è la più grande invenzione della vita, come ha detto una volta Steve Jobs di fronte a una platea di giovani neolaureati della Stanford University, già sapendo di essere gravemente malato.
La morte è l’agente di cambiamento, la rivoluzione che spariglia le carte e fa posto al nuovo, ma è soprattutto il monito a meravigliarsi a ogni respiro di fronte alla bellezza del creato, vivendo ogni giorno come l’ultimo nella consapevolezza che il nostro tempo sia limitato. Perciò è grazie alla morte, e alla libertà di scegliere di morire, che la nostra vita acquista il suo prezioso valore, attraverso il coraggio e il privilegio di vivere finché si ritiene giusto e non, unicamente, finché si può. Come già pensava Seneca duemila anni fa.