Ribera, Stomer e Mattia Preti da Malta a Roma
Era da un po’ che non entravo in Palazzo Barberini a Roma, oggi insieme alla Galleria Corsini ribattezzati “Gallerie Nazionali Barberini Corsini”. Dirigermi senza deviazioni nell’immenso salone pensato da Gian Lorenzo Bernini per cercare l’infinito affresco di Pietro da Cortona, un vertice nella storia della pittura barocca, è un riflesso condizionato che mi cattura ogni volta. Il museo, diretto da Flaminia Gennari Santori dal novembre 2015, raccoglie opere di grandi maestri della pittura italiana e straniera dal XIII al XVIII secolo e anche qui, sulla linea dell’autonomia speciale voluta da Franceschini, sono in vista potenziamenti e nuove strategie, restauri e riallestimenti. La nuova apertura, se tutto andrà bene, si annuncia per la seconda metà del 2018.
Da qualche settimana, puntando sulla valorizzazione delle collezioni e sui sodalizi internazionali, è stata inaugurata la mostra “Mediterraneo in chiaroscuro. Ribera, Stomer e Mattia Preti da Malta a Roma”, a cura di Alessandro Cosma e Sandro Debono.
Fil rouge dell’esposizione è l’intensa relazione storica e artistica fra l’Italia e Malta, a partire dal Seicento quando nell’isola governata dai potenti Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni si rifugia Caravaggio (dal 1606 al 1608) e più tardi Mattia Preti, che lì trascorre gli ultimi trent’anni della sua lunga vita.
Nove dipinti provengono, infatti, da Malta (La Valletta, MUŻA -Mużew Nazzjonali tal-Arti); alcuni esposti per la prima volta in Italia.
Dopo l’incontro sempre nuovo con la “Giuditta e Oloferne” e il “Narciso” di Caravaggio (che nel panorama pittorico seicentesco è sempre il punto di partenza di qualsivoglia discorso), ci s’imbatte in un interessante accostamento tra il “San Gregorio Magno” romano e il “Santo Stefano” maltese, entrambi di Ribera ed entrambi orgogliosi di mostrare una prima tavolozza, più limpida, liscia e quasi smaltata con lunghi lampi di luce che accendono, rispetto al ben noto intruglio da «tremendo impasto» di ambientazione napoletana.
Secondo spunto di riflessione viene suggerito nelle sale successive occupate dai caravaggeschi stranieri, in un vivace confronto di assonanze e lontananze proposto soprattutto con Vouet, Tournier, Ter Brugghen, Candlelight Master e Stomer (Barberini e MUŻA).
Alla fine, il dibattito si chiude con il cavalier Calabrese: il confronto ravvicinato tra i suoi dipinti italiani e quelli maltesi svela le scelte e le narrazioni teatrali di un artista che «primieramente menò sua vita in continui viaggi», riuscendo così nel confronto con altri maestri a cambiare incessantemente fino alla fine il proprio codice linguistico.
Prima di andar via dedicate un ultimo sguardo alla cappella di Pietro da Cortona, cui si accede dalla sala dei ritratti, con le sue meravigliose e restaurate pitture ed il pavimento maiolicato del Settecento.
La mostra vi aspetta fino al 21 maggio 2017.