L’Italia che sanguina
La terra trema ancora e la gente è smarrita. In effetti, dinanzi ai mostri si è sempre soli e smarriti.
La sera del 23 novembre 1980 io non ero a casa e non ero neppure con mamma e papà. Di quei momenti ricordo l’abisso dentro cui fummo tutti inghiottiti. Oggi sento ripetere come un mantra che i paesi risorgeranno più belli di prima. Non è vero, lo sappiamo in tanti. Scongiurata – almeno questa volta – l’ennesima perdita umana, molte case sono morte e a sanguinare restano le ferite dell’arte.
A fiotti.
Siamo un paese sismico (non dobbiamo dimenticarlo) e la storia ce lo racconta da secoli con episodi disseminati lungo tutta la dorsale appenninica. Da Pantelleria al Friuli.
E di questo possiamo solo prendere atto.
Ciò che, invece, dipende esclusivamente dall’uomo è la gestione, che vuol dire tante cose: custodia, tutela, difesa, conservazione intelligente, ma soprattutto conoscenza. Perché, se è vero che la politica ha il dovere di studiare la storia e la realtà, rendersi conto delle situazioni (non solo dopo i disastri) ed agire in fretta e con criteri condivisibili, ad ognuno di noi è affidato il compito di diffondere la cultura dell’arte.
Il patrimonio artistico italiano è l’anima delle nostre città, bellezza e meraviglia delle nostre identità, antidoto contro l’omologazione dilagante, bene prezioso e insostituibile per tutti. Ricordarne l’esistenza e goderne è un rinnovato approccio alla vita, fin da piccoli. Promuovere la conoscenza dell’arte in famiglia e a scuola aiuta a pensare, ad essere critici, ad essere liberi, a capire il passato, ad emozionarsi, a superare le barriere sociali ed etniche e prima di tutto aiuta a conoscersi.
Solo chi conosce il valore di quello che ha, può lottare per proteggerlo.
“La storia siamo noi, nessuno si senta escluso”