Con trentatré minuti di treno e appena trenta km percorsi, imbacuccata come un orso bianco (il clima alle porte degli Appennini non è un cantuccio per la mia sinusite), da Firenze sono arrivata a Pistoia, dove mi aspettava la nuova vita di Paola e Antonio.
Pistoia è, forse, il capoluogo meno conosciuto dell’intera Toscana; eppure la città, piccola e piena di un’antichità ben custodita, rappresenta senza alcun dubbio una scoperta da non perdere.
La grazia e l’armonia urbanistica ti catturano al primo sguardo, come al primo sguardo ti accorgi che Pistoia è un luogo incontaminato, dove puoi sentirti ancora libero di decidere cosa vedere, cosa mangiare e dove dormire, senza insistenti e insopportabili predestinazioni. Non ho visto carovane di viaggiatori coi cappellini né fiumane di tedeschi né ronde di telecamere giapponesi e nemmeno sorrisi a trentadue denti che mi spingevano dentro qualcosa. A Pistoia c’è la bellezza lenta che si svela piano e ti aspetta nel silenzio.
Piazza Duomo – credetemi – da sola vale il viaggio perché al suo cospetto si guardano contemporaneamente negli occhi la Cattedrale di San Zeno con il campanile, lo stupefacente palazzo Pretorio con il Tribunale, il trecentesco Comune con il Museo Civico e il Battistero, pur mantenendo nella disposizione ad “L” il giusto distacco tra sfera civile e religiosa. Da non perdere, nel Duomo, il maestoso altare argenteo del patrono pistoiese San Jacopo, attualmente conservato nella cappella detta “del Crocifisso”.
Il centro storico è a traffico limitato e le strade e le piazze che si percorrono a piedi per arrivarci sono fiancheggiate d’archi, merli, marmi zebrati (per la caratteristica dicromia bianco-verde) e torri.
Come invitati che arrivano ad una festa d’altri tempi, ci si trova imbucati nel coloratissimo mercato di Piazza della Sala, che incornicia il quattrocentesco pozzo di Leoncino. E mentre ti guardi intorno, ti sembra proprio strano che tutta quella meraviglia, fresca e autoctona, sia ad un passo dalla casa di ciascun pistoiese. Sì, perché Pistoia è veramente una città in cui si vive bene e dove tutto è a portata di mano: la grande griffe che trovi uguale a Milano o a Roma e le antiche botteghe toscane alle quali fai fatica a resistere con i loro profumi caldi e intensi.
Nel labirinto delle strade, che dopo qualche giro già ti sembra di riconoscere, a un certo punto s’incontra l’Ospedale del Ceppo con il suo loggiato rinascimentale che appare come una citazione dell’Ospedale degli Innocenti a Firenze e che colpisce per la delicata e preziosa decorazione in terracotta invetriata dei Della Robbia. Non perderti, a pochi passi, la chiesa di Sant’Andrea con ben tre opere di Giovanni Pisano (tra cui il famosissimo pulpito) e neppure la singolare Basilica della Madonna dell’Umiltà, con la cupola del Vasari che svetta sui tetti della città, come quella di Brunelleschi a Firenze.
Per un’ultima gioia, se si è in auto, suggerisco di visitare la Villa Puccini di Scornio, oggi sede della “Scuola di Musica e di Danza Teodulo Mabellini” e della “Fondazione Accademia di Musica Italiana per Organo”. Una costruzione antica dentro un parco romantico brulicante di querce, magnolie, allori e platani (con tanto di laghetto e piccolo tempio classico) ti farà dimenticare il mondo immergendoti nella pace delle muse.
Chi cerca l’arte contemporanea, visiterà il museo Marino Marini sulla cui opera è in preparazione la mostra “Marino Marini. Passioni Visive” per l’anno prossimo.
E allora, senza aggiungere altro, capisci perché Pistoia è stata proclamata Capitale della Cultura 2017 e vai via lentamente, quasi a prendere fiato, sapendo di dover ritornare ai pensieri di tutti i giorni appena uscita fuori da lì.
“E quante volte sono ritornato nella piazza del Duomo! All’alba, o quando il sole la invade, e soprattutto al chiaro di luna, che la rende deliziosa, e permette alla fantasia di evocare costumi scomparsi, le rivalità dei partiti, le grandi lotte, le collere scatenate, i delitti! Come è tutto calmo oggi invece! Dopo tutto chissà che anche allora le giornate non fossero così dolci e quiete, le strade così tranquille e la città così addormentata come questa sera!”
M. Brillant, “L’Illustrazione Toscana”, febbraio 1930.