Qualche giorno fa trovo un messaggio in bacheca. È di Massimo Sansavini, scultore forlivese, che mi invita a guardare il suo ultimo lavoro. Trovo la sua idea bellissima: recarsi presso il cimitero dei barconi di Lampedusa, tra cielo e mare, con in tasca l’autorizzazione a disporne per creare arte.
Nasce così Touroperator: un nome che odora di vacanza e che in quel luogo profanato dalla morte acquista la stessa volgare e crudele ironia del Arbeit macht frei dei campi di Auschwitz. Una scritta beffarda per smascherare col sorriso amaro le menzogne del disumano, scoperchiando il dolore di un mondo parallelo che ci appartiene e che non riesce più a restare fuori la porta. I catenacci sono stati divelti.
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Il respiro del Mediterraneo divide e ricongiunge nel mulinello di correnti eterne e complici. Al suo cospetto muto tutto si compie, ma dentro giorni solitari e disperati ogni tanto una foglia cade restando conficcata negli occhi di chi guarda. Non è facile per nessuno.
Il progetto è emozionante: ridare vita ai sogni di chi non c’è più, come solo la poesia sa fare, e farli svolazzare liberi nel vento del mondo.
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Non resisto, contatto Massimo e comincio a fare domande.
Nel titolo che hai dato al progetto c’è tanta amarezza. Me ne vuoi parlare?
Oggi sembra che ci sia una sorta di “dimenticanza” o negazione del nostro passato non troppo remoto. Il riferimento ad Arbeit macht frei è forte, ma se pensiamo che ad esempio l’Ungheria, che ha pagato con il maggior numero di morti la deportazione nazista, oggi propone di chiudere i migranti in un’isola al largo dell’Africa o in alternativa decide che gli immigrati vadano incarcerati in quanto pericolosi a prescindere, questo vuole dire forse avere perso di vista da dove veniamo. D’altro canto troviamo lo stesso atteggiamento da parte della Turchia, che per tenere confinati nei propri ambiti territoriali gli immigrati chiede sostanziosi finanziamenti all’Unione Europea; e poi abbiamo l’Austria, la Francia, la Danimarca che pensano che alzare le barriere li possa rendere immuni da questo fenomeno oramai globale. Non credo che questo atteggiamento protezionistico servirà neanche alla Gran Bretagna con la sua Brexit o agli Stati Uniti.
Ti confesso che trovo un po’ dissacrante la scelta di far rivivere pezzi di legno disgraziati dentro colori liquidi e avvampati di sole. Mari limpidi e turchesi, cuori che palpitano piano, fiori e girandole di vento d’estate, pesciolini che parlano di favole e ninne nanne e sogni d’infanzia. Senza guerra e senza re. Archetipi nell’arte globalizzata. Eppure so che sono proprio questi corti circuiti a rimettere in moto pensieri non banali, che possano riaprirci alla vita in un altro modo. Cosa ha significato, per te, questa esperienza?
“Entrare dentro al cimitero delle barche di Lampedusa è come entrare in un mondo surreale, un girone dantesco, qualcosa di sospeso fuori dal tempo. Essere stato l’unica persona autorizzata a prelevare il legno degli scafi è stato un onore ma anche un onere, quello di dovere raccontare e riportare una memoria che altrimenti andrebbe persa. Il legno degli scafi infatti viene periodicamente distrutto e tra pochi anni non rimarrà più nulla. Quindi questi lavori servono a non dimenticare. Ho preso quel legno consumato, corroso dalla salsedine, colorato con colori sgargianti e mi sono limitato solo a sagomarlo ricomponendo gli scafi come grandi puzzle, quasi giochi di bambini. Ognuno di noi può leggere le opere a seconda della propria esperienza, ma quando tocchi le opere sai che tocchi il legno di quegli scafi che hanno attraversato il Mediterraneo, trasportando donne uomini e bambini che in molti casi hanno lasciato le loro speranze in fondo al mare.”
Quanto l’arte è intrecciata al sociale?
“Oggi l’arte è molto intrecciata al sociale, non esiste più solo il concetto di bellezza inteso nel senso ottocentesco del termine, gli artisti oggi parlano del loro tempo, di questa società e dei mali che la affliggono. Un’opera può essere bella ed è un sentimento soggettivo, ma se ci fa riflettere, allora penso che l’artista che l’ha eseguita ha fatto un buon lavoro.”
Ci sarebbe bisogno di importanti interventi di regolarizzazione in itinere. In Italia si insiste spesso sulla differenza tra rifugiati e migranti economici. Cosa ne pensi e cosa ritieni che si possa fare per dare un aiuto concreto a questi uomini che hanno voglia di ricominciare?
“”Io faccio l’artista, questa mostra può essere una fotografia sullo stato di fatto delle cose. Abbiamo i nostri governi e l’Unione Europea che sono preposti a trovare soluzioni idonee ad affrontare questo problema che non verrà certo limitato dai muri e dalle barriere. La cosa che ti posso dire è che i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistica ci dicono che nel 2050 ad esempio l’Italia avrà circa la stessa popolazione di oggi, ma con il 30% di immigrati come forza lavoro. Per un paese che invecchia come il nostro e dove la crescita demografica è al minimo se non sfruttiamo al meglio questa opportunità saremo destinati sicuramente al declino.”
Per l’utilizzo di un materiale modesto e usurato e la declinazione di pensieri simbolici ed essenziali, potresti essere considerato un artista fautore dell’arte povera. Ma, in realtà, l’uso meticoloso del legno come tassello da incastro è un chiaro riferimento alla tua esperienza ravennate. Cosa ne pensi?
“Difficile stabilire dove collocare la mia esperienza artistica, molti mi hanno inserito tra i nuovi futuristi, altri tra la neo pop, altri ancora definiscono questi lavori pittoscultura. Personalmente non mi pongo il problema, certo la mia provenienza dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna riporta fortemente la matrice del mosaico scomposta e rivisitata con un materiale diverso, il legno.”
Un’ultima curiosità. Le tue opere sono in vendita?
“Le opere non sono in vendita. Lo scopo è quello di potere portare questa mostra in più spazi possibili e dare a tutti la possibilità di toccare con mano le sculture e conoscere questa storia.”
Grazie Massimo, per averci reso tutti responsabili.